Alla scoperta dell’Ager Falernus con Villa Matilde al ristorante La Ninfea






“Qui si beve per 1 asse; se ne paghi 2, berrai un vino migliore; con 4, avrai vino Falerno” (CIL IV 1679), così scriveva Edone in una pregnante scritta ritrovata a Pompei a testimonianza del costo elevatissimo di questo cru dell’antichità ma anche dell’elevatissima qualità e fama, anche altri scrittori latini ne hanno celebrato le lodi prima fra tutti Catullo.
Ripercorriamo la strada fatta dal Falerno nel corso dei secoli al ristorante ‘A Ninfea nella splendida e incantevole location del Lago di Lucrino con Villa Matilde una delle storiche e prime cantine che hanno ridato vita e fama al più famoso vino dell’antichità. Locale suggestivo, affacciato sul lago di Lucrino, come un faro che illumina il mare di notte, A’ Ninfea veglia e protegge il lago e con le sue luci illumina un vasto specchio d’acqua sottraendolo alle tenebre, all’entrata vasche di pesci e crostacei di ogni tipo freschissimi e di ottima qualità, su tutti regna una ricciola che con i suoi 20 chili di peso sembra voler impartire degli ordini: dopotutto è lei la regina del Mare Mediterraneo!


L’evento organizzato da Giulia Cannada Bartoli per martedì 16 Luglio 2013 è stato studiato a  tavolino come un percorso di sensi che accompagnasse tutti gli avventori alla scoperta dell’ Ager Falernus e che sapesse abbinare alla perfezione, questo bisogna dirlo, ogni pietanza al suo vino, la cosa più interessante del menù è stata la sequenza con cui si sono avvicendate pietanze totalmente prive di ingredienti post-colombiani, assenza totale di pomodoro e cioccolato hanno reso il menù ancora più accattivante e ricco di significato, per una sera posso dire di aver mangiato e di aver bevuto come un antico romano!
Una brochure dell’evento spiega dettagliatamente le tappe della serata. Maria Ida Avallone, delegata regionale delle Donne del Vino e degna esponente di una delle famiglie storiche del Falerno ha illustrato a tutti i famelici avventori presenti le origini del Falerno. Maria Ida ha speso anche qualche parola sulla sua cantina Villa Matilde, frutto della smisurato amore del padre Francesco per quella terra vulcanica, lui per anni famoso avvocato e professore universitario è poi diventato attraverso i suoi studi ampelografici vignaiolo e produttore per passione, primo fra tutti a riutilizzare le “falanghe”  pali per appoggiare i ceppi di vite, da cui poi deriva l’etimologia della falanghina, vitigno principe del Falerno del Massico Bianco Doc, e forse primo nella sua zona a mettere in pratica il concetto di vigna razionale, mettendo fine allo stato di abbandono e degrado delle vigne nel  periodo post bellico a ridosso degli anni ’60 del secolo scorso. Un piccolo brunch e un calice di spumante di Asprinio D’Aversa di Grotte del sole segue la sua chiara spiegazione per poi passare subito alla cena vera e propria.



Come una sequenza musicale si susseguono “olive conciate alla cumana” e “fritto di  neonata”, a Napoli famosi col nome di Cicinielli, adagiati su un nido di spaghetti fritti, abbinati a un “Terre Cerase 2012” aglianico in purezza rosato della tenuta Rocca dei Leoni, un’ azienda inaugurata da Villa Matilde nel 2000 nel cuore del Sannio, profumi fini ed eleganti e un gusto morbido tengono a bada molto bene la frittura. “Sautè di cozze alla cumana” e “alici marinate delle colonie di Cuma”, marinate a regola d’arte col solo uso di limone che non lascia l’odore a volte sgradevole dell’aceto usato generalmente per le marinature, in abbinamento al “Falerno Del Massico Bianco Doc 2011”, una Falanghina in purezza prodotta a San Castrese –Sessa Aurunca, vinificata solo in acciaio, colpisce più per la sapidità in bocca che per l’acidità, profumi floreali e fruttati molto fini rendono ancora più elegante questo vino.
Una breve pausa e poi il primo: “linguine alle telline alla maniera dei romani” che sta ad indicare proprio l’assenza di pomodoro come condimento ed esaltatore di colore per il piatto, la pasta infatti  è totalmente in bianco e il sapore delle telline è esaltato ancora di più, piccole ma molto saporite ben si abbinano a un bianco più complesso del precedente un “Vigna Caracci 2008” Falerno del Massico Bianco Doc , si parla sempre di Falanghina in purezza, ma questa volta cambia la posizione dei vitigni che hanno degli impianti più datati e la vinificazione che è fatta per metà in acciaio e metà in barriques di Allier di media tostatura per circa venti giorni per esaltarne le doti di morbidezza, al naso infatti si distinguono profumi di frutta più matura e in bocca la spiccata morbidezza rende questa falanghina quasi anomala, Maria Ida Avallone ci confida che questo vino ha un potenziale di invecchiamneto di 15 anni a partire dalla messa in commercio se mantenuto in buono stato di conservazione.
La cena è giunta quasi al termine, ma manca ancora la  ricciola infornata alla greca al profumo di limone”, alla greca perché cotta al forno in una foglia di verza, quasi come si fa con i dolmàtes grechi nella foglia di vite, la regina-ricciola dell’ingresso del ristorante è stata deposta e offerta ai commensali ma rimarrà sempre in mente il suo ricordo e la sua foto, il piatto visivamente si presenta semplice e conciso ma all’assaggio nasconde una leggera cottura prolungata che ha fatto seccare un po’ troppo la carne, in abbinamento anche se non proprio ortodosso c’è un “Falerno del Massico Rosso Doc 2009”, blend di aglianico all’80% e piedirosso al 20%, prodotto da impianti datati e vinificato con macerazione prolungata delle bucce nel mosto fino a 25 giorni, continui rimontaggi, al termine della fermentazione alcolica fa anche la malolattica, affina in parte in barriques di Allier e in parte in botti grandi di rovere di Slavonia prima di essere messo in commercio.Un vino sorprendente tanto da ricordare lontanamente un Amarone della Valpolicella ricco di colore(rubino intenso e quasi impenetrabile), naso complesso ricco di profumi terrosi, frutti rossi, liquirizia e il suo gusto pieno, corposo, abbastanza tannico, abbinamento estremo ma vino di notevole pregio.
Per finire “torta di ricotta e frutta secca alla maniera dei romani” che non avevano di certo il cioccolato per fare i dolci e si servivano della frutta secca per addolcire le loro creazioni, dolce abbinato con “Eleusi” un passito di Falanghina, prodotto con la tecnica del taglio del tralcio a frutto per interrompere lo stato vegetativo della pianta e permettere una maggiore concentrazione degli zuccheri negli acini, viene poi fatto appassire ancora nel fruttaio e vinificato a dicembre, segue affinamento in barriques, amabile e non dolce si sposa bene con la torta che invece lo è un po’ di più, ma non convince la scelta a dir poco azzardata di ottenere un passito da uve Falanghina che hanno un basso estratto secco per cui appassendo i grappoli rimane ben poco di uva e per produrre una bottiglia di passito ci vogliono ben oltre 10 chili di frutto con una resa molto bassa.
Serata suggestiva finita un po’ tardi ma davvero didattica, un ringraziamneto speciale a Giulia Cannada Bartoli che mi ha permesso di essere lì.                                       
                                                                                                              Luca Bellettini

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